Pubblicato su politicadomani Num 88 - Febraio 2009

Strategie della diplomazia occidentale
La NATO e le nuove sfide del XXI secolo
Al Quartier Generale di Bruxelles si chiede l'apporto teorico di think-tanks che aiutino la NATO a ripensare la sua strategia globale in vista del lungo documento che il Vicesegretario Generale vorrebbe predisporre per il vertice di Lisbona del prossimo anno. Questo articolo non è solo il nostro contributo a tale richiesta, ma è anche un invito rivolto all’uomo della strada a considerare con attenzione le dinamiche che si sviluppano ad altissimo vertice perché, anche se certe questioni sembrano lontanissime, è da lì che prendono le mosse le politiche dei singoli Stati e, in ultima analisi, le ragioni della realtà che ci circonda

di Matteo Luigi Napolitano

Che cosa è la NATO
Il consenso. Solo il consenso può far funzionare le cose in un'organizzazione come la NATO, i cui membri, pur avendo diverso peso politico, hanno tutti eguale potere decisionale (e di diniego e  blocco delle decisioni non condivise). Si lavora così nell'organizzazione nata in piena Guerra fredda, col Trattato dell'Atlantico del Nord del 4 aprile 1949, di cui proprio quest'anno cadrà il sessantesimo anniversario.
Al Quartier Generale di Bruxelles si ritiene che la NATO sia poco conosciuta; nella migliore delle ipotesi, essa è considerata nient'altro che il braccio armato degli Stati Uniti. Ecco dunque la spinta a una Public Diplomacy, tesa a far conoscere in tutti i suoi aspetti, non solo agli “addetti ai lavori”, ma anche e soprattutto alle giovani generazioni, il funzionamento di un'organizzazione che ha vissuto in presa diretta tutte le dinamiche della Guerra fredda, e che dopo la fine dei regimi comunisti si è interrogata sui nuovi scenari e sui nuovi ruoli da assumere.

L’equivoco
Un esempio di fraintendimento del ruolo della NATO è quando ci si chiede perché, crollato il Muro di Berlino e finita la Guerra fredda (con la fine dell'URSS, dei suoi regimi satelliti e del Patto di Varsavia), l'organizzazione ombrello dell'Occidente debba continuare a esistere. L'equivoco riposa sull'arbitraria equiparazione fra NATO e Patto di Varsavia. Si tratta invero di due alleanze distinte. La prima, riposando sul consensus, ha impedito la prevalenza sempre e comunque del volere dell'una o dell'altra delle grandi Potenze (che, non a caso, spesso per ottenere i loro scopi, sono state costrette a muoversi al di fuori della NATO). L'organizzazione occidentale, inoltre, in ultima analisi rispondeva sempre a un Consiglio formato dai governanti degli Stati membri, che a loro volta rispondevano alle rispettive istituzioni parlamentari. Nel caso del Patto di Varsavia, invece, ogni decisione riposava sempre sul volere di uno solo dei suoi membri, l'URSS, e quindi del capo del più importante Partito Comunista del mondo.
Certamente, non poche similitudini possono trovarsi nell'articolo 5 del Patto Atlantico e nell'art 4 del Patto di Varsavia (che contengono il casus foederis, ossia le condizioni per cui scatta l'alleanza), ma nel primo caso, la regola del consensus ha fatto sì che la NATO non assumesse, durante la Guerra fredda, semplici connotazioni antisovietiche, meramente ispirate dal confronto ideologico. Ciò ha permesso all'alleanza occidentale di ridefinire i suoi scopi col tempo (si pensi alle crisi del Golfo, al Kosovo, all'insorgenza del terrorismo internazionale e all'undici settembre), e di affinare la sua strategia col mutare della realtà internazionale. In altre parole, la NATO si è dimostrata un'alleanza senza dubbio più “flessibile” del Patto di Varsavia, il cui scopo era da un lato impedire una nuova aggressione contro il territorio dell'URSS, e dall'altro proteggere il sistema comunista al di qua della cortina (o del “sipario”) di ferro.

Ripensare le strategie
In questi ultimi tempi la NATO sta ripensando la sua dottrina strategica. Lo farà già al prossimo vertice di Strasburgo-Kehl, previsto per il 3 e 4 aprile (dunque proprio alla scadenza del sessantesimo anniversario dell'Alleanza Atlantica); ma lo farà per ora in forma soft, con una dichiarazione lunga meno di dieci pagine, non volendo impegnare il neopresidente Obama (che a Strasburgo farà una delle sue prime uscite internazionali), il quale non avrà avuto certamente il tempo, a tre mesi dall'inizio del suo mandato, di definire compiutamente il punto di vista americano. Il lavoro di rielaborazione della strategia della NATO si farà dunque fra poco più di un anno, al Vertice di Lisbona del 2010. Ecco perché al Quartier Generale di Bruxelles si chiede l'apporto teorico di think-tanks che aiutino la NATO a ripensare la sua strategia globale in vista del lungo documento che il Vicesegretario Generale vorrebbe predisporre per il vertice di Lisbona del prossimo anno.
Ma quali sono i più importanti dossier aperti alla NATO?

Il ruolo della Francia
Un capitolo assai importante riguarda la decisione del Presidente francese Sarkozy di reintegrare le strutture militari francesi all'interno dell'Organizzazione. La nostra ipotesi è che questa decisione, maturata sottotraccia durante la campagna elettorale francese e sviluppata in precise linee guida dalla nuova Amministrazione francese, sarà ufficializzata dopo la conferenza prevista a Monaco di Baviera, a metà di febbraio di quest'anno. Ma, nel prendere una decisione che è di portata storica (dopo la “defezione” di De Gaulle dalle strutture militari dell'Alleanza Atlantica, il 7 marzo 1966), Sarkozy desidera un contraccambio, ossia un ruolo più attivo dell'Unione europea nel campo della sicurezza: una questione che troverebbe in Obama il più acceso sostenitore. Ne risulterebbe un maggior coordinamento e una ridefinizione più appropriata dei ruoli fra le due “anime” di Bruxelles: quella transatlantica e quella europea in senso stretto.

La questione Afghanistan
Ci sono poi altre questioni. Da candidato alle presidenziali, Obama non ha fatto mistero del fatto che l'Afghanistan era una sua priorità. Si può quindi contare sul fatto che la nuova Amministrazione di Washington avrà nell'Afghanistan First il suo mantra. Siccome ciò lascia prevedere un aumento, e non una diminuzione, degli effettivi che saranno dispiegati in quella regione, anche la NATO è chiamata a rinnovare la sua strategia globale, invitando i suoi membri a una condivisione delle responsabilità.
Che cosa significa ciò? Anzitutto regole d'ingaggio (i c.d. caveat) più flessibili nel campo dell'assistenza militare fra alleati; ossia un maggiore impegno in operazioni di pattugliamento, e una maggiore disponibilità a impegnare le truppe NATO in Afghanistan, se necessario, anche in combattimento. Crediamo che Obama non tarderà a spingere proprio su questa linea. All'allargamento dell'impegno delle truppe dell'Alleanza atlantica in Europa ostano tuttavia alcuni problemi: nel caso della Germania, vi sono dei vincoli costituzionali e politici (fra l'altro è prossima un'importante scadenza elettorale); mentre non è escluso che molte resistenze possano registrarsi anche da parte degli altri membri della NATO, per analoghe ragioni politiche e soprattutto per timore di reazioni negative da parte dell'opinione pubblica. Ma questo è, tuttavia, un punto nevralgico, visto che la NATO si concentrerà nei prossimi anni più su missioni di pace e di sicurezza in svariate aree del globo e molto meno sulle esigenze di difesa territoriale dei suoi membri.

Civilians first
Non a caso, proprio con riguardo all'Afghanistan , la NATO ha previsto una serie di misure speciali a tutela delle vittime civili, partendo dal principio Civilians first che ispira l'ISAF. Si tratta di una decisione importante, dato che proprio i pesanti bilanci di vittime civili nelle operazioni in Afghanistan avevano incrinato non poco i rapporti fra la NATO e l'ONU. Che in Afghanistan e  altrove la NATO sia destinata ad intensificare e ad allargare la sua azione, lo dicono anche alcune dichiarazioni di cooperazione congiunta col Palazzo di Vetro, e l'avvio di una cooperazione anche sul piano civile con organizzazioni non governative di carattere umanitario (nonostante la ritrosia di alcune di queste di essere viste come partner di un'organizzazione militare)

Riprendere le fila del dialogo
Un altro mantra del Presidente Obama sarà senz'altro la ripresa dei rapporti con la Russia, dopo il gelo sceso tra Mosca e Washington per la vicenda georgiana dell'agosto 2008. Il dialogo è cessato anche per la NATO, dopo che al vertice di Bucarest del 2-4 aprile 2008 si erano aperte prospettive interessanti nei rapporti con Mosca (è tuttora vigente, però, un accordo NATO-Russia per il transito sul territorio russo di materiali destinati all'ISAF, il corpo di spedizione militare della NATO in Afghanistan). L'auspicio delle “teste d'uovo” del Quartier Generale di Bruxelles è quindi che riprenda il dialogo all'interno del NATO-Russia Council, il filo diretto che l'organizzazione atlantica ha con Mosca, e che si è interrotto in occasione dell'affare georgiano.
È probabile che la collaborazione fra la NATO e la nuova Amministrazione americana si sviluppi anche nella trattazione del dossier iraniano. Va detto, più in generale, che il rapporto fra Bruxelles e Washington sarà grandemente facilitato dal fatto che nello staff di Obama ci sono persone che conoscono la NATO assai bene (è il caso, ad esempio, del generale James L. Jones, Comandante supremo delle forze americane e alleate in Europa, diventato Consigliere per la Sicurezza Nazionale del neopresidente americano).

Previsioni di allargamento
Il prossimo grande evento della NATO sarà, come si è detto, il vertice di Strasburgo-Kehl; si tratterà di un vertice riservato esclusivamente agli Stati membri dell'alleanza atlantica. Essendo uno dei primi impegni internazionali del Presidente Obama, è probabile che il dossier afghano (sua priorità) sia trattato congiuntamente in una riunione dell'ISAF. È da escludere che a Strasburgo e a Kehl si parlerà di allargamento. Su questo punto, va detto che la NATO di certo non chiuderà le porte a Georgia e Ucraina, quando dovessero per loro maturare le condizioni d'ingresso nell'organizzazione;   ma, in questo caso, i tempi saranno lunghissimi, e la sola ipotesi complicherà moltissimo il dialogo con la Russia, che pure si vorrebbe riavviare su nuove basi.
Più semplici sembrano le cose per l'Albania e per la Croazia (la Serbia è un capitolo a parte, ma pure assai promettente), i cui dossier sull'ingresso nella NATO sono praticamente completati; al punto che c'è chi ipotizza una formalizzazione della loro piena membership già col prossimo vertice di Strasburgo-Kehl; più ragionevole appare tuttavia l'ipotesi di un loro ingresso nella NATO al massimo fra un anno.
Restando sul tema dell'allargamento dell'Alleanza atlantica, ci sono i casi aperti della Bosnia-Erzegovina, del Montenegro e dell'Ex Repubblica jugoslava di Macedonia (o FYROM, nell'acronimo ufficiale inglese). Quest'ultimo Stato ha il dossier più complesso, dato che ci sono tutte le condizioni per il suo ingresso nella NATO, se non fosse per il veto opposto dalla Grecia, che non accetta la denominazione ufficiale di “Repubblica di Macedonia”, implicando essa velate pretese territoriali sulla Macedonia ellenica. La regola del consenso ha quindi bloccato il processo di adesione della FYROM alla NATO. Con Bosnia-Erzegovina e Montenegro, invece, è in corso un “dialogo intensificato”, che però è condizionato da una situazione difficile, dal punto di vista delle relazioni fra le varie etnie.

Implicazioni strategiche del riscaldamento del pianeta
Un altro capitolo interessante è quello sulle “nuove aree di sicurezza” che la NATO intende coprire sistematicamente. Una di queste è l'High North, ossia la regione artica, in merito alla quale si è tenuto a Reykjavik, il 28 e 29 gennaio scorso, un incontro di esperti della NATO e di rappresentanti degli Stati membri, cui ha fatto seguito una tavola rotonda di accademici sotto gli auspici del Collegio di Difesa della NATO e dell'Università islandese. Il punto centrale dell'analisi è il riscaldamento del pianeta e lo scioglimento della calotta artica. Quali conseguenze ciò produrrà dal punto di vista strategico? Ve ne sono alcune che meritano particolare attenzione per il futuro. In primo luogo lo scioglimento dei ghiacci renderà accessibili materie prime il cui sfruttamento era fino a questo momento precluso a tutti; il che porta a pensare che i potenziali fruitori saranno i paesi tecnologicamente più avanzati (che tuttavia non per questo potranno pretendere di accampare diritti esclusivi). In secondo luogo, lo scioglimento dei ghiacci renderà più vulnerabile la Russia, le cui coste prima inaccessibili potranno essere ormai raggiunte agevolmente attraverso nuove vie navigabili. Ciò richiederà da parte di Mosca il ripensamento e il ridispiegamento dei suoi strumenti di difesa globale, con riguardo specialmente all'allargamento del raggio operativo del terrorismo e della pirateria internazionali. Ma l'Artico si rivela una regione di vitale importanza anche per la NATO, esattamente per le stesse ragioni di sicurezza; il che significa che un altro interessante capitolo potrebbe aprirsi nel complesso dialogo con Mosca. Certamente si potrebbe partire dalla mera applicazione delle convenzioni internazionali esistenti, per poi incrementare le attività, che per la NATO potrebbero anche consistere in azioni di monitoraggio e in esercitazioni nella regione artica. Ma, proprio per questo, occorrerà trovare un modo per coinvolgere i russi, sensibilissimi anche in questo campo, e che nutrono particolare interesse a dialogare con la NATO.

Contro la pirateria
Altri temi scottanti per l'organizzazione atlantica sono quello della pirateria e del trasporto sicuro delle risorse in acque internazionali. Su questo punto, si ha l'intenzione di attivare un sistema complesso di sorveglianza satellitare delle acque internazionali, molto simile a quello già in atto per  lo spazio aereo. Vi è poi il tema delicato della “difesa cibernetica”. Un recente attacco informatico ha indotto la NATO a creare a Tallin una struttura di eccellenza per il monitoraggio, lo sviluppo e la condivisione di strumenti di “intelligence anti-hacker”.

Conclusioni
Sono queste le nuove sfide per la sicurezza, generate dalle nuove insicurezze sofferte dal pianeta. Il vertice di Bucarest dell'aprile 2008, che ha visto sessanta nazioni fra Stati membri e partner a vario titolo della NATO riflettere sui temi più scottanti, ha fatto capire che le sfide globali di un mondo in continua evoluzione si affrontano soltanto avendo in mente un concetto di partnership più largo e flessibile. L'Afghanistan, pure al centro di quel vertice, sarà la prima occasione d'intesa con la nuova Amministrazione di Washington; ma anche un test-case per rimodulare le strategie dell'Alleanza atlantica in forme più flessibili, a beneficio della stabilità e della sicurezza negli anni a venire.

 

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